La rivoluzione dell’IA nello sviluppo farmaceutico
Le stime degli analisti prevedono una crescita esponenziale dei sistemi di intelligenza artificiale anche in ambito farmaceutico da qui al 2030. Dalle fasi di discovery a quelle di sviluppo clinico, gli algoritmi promettono di ridurre fortemente sia i costi che i tempi necessari a portare un nuovo farmaco sul mercato.
di Filippo Neri
Gli anni ’20 del ventunesimo secolo stanno portando con sé una vera e propria rivoluzione, destinata a giocare un ruolo da protagonista nei più svariati settori industriali: la prepotente entrata in scena dell’intelligenza artificiale (IA) tocca naturalmente anche il mondo farmaceutico, all’interno del quale le applicazioni dell’IA sono sempre più numerose.
Dalla scoperta di nuovi possibili target terapeutici e relativi principi attivi (anche basati sul repurposing di farmaci già esistenti) all’ottimizzazione delle attività durante le diverse fasi di sviluppo pre-clinico e clinico, dall’analisi dei dati (sempre più spesso anche di provenienza real-world) a fini regolatori al monitoraggio dell’efficacia e della sicurezza nel post-marketing, gli algoritmi di intelligenza artificiale sono ormai compagni di lavoro quotidiani per chi opera nell’ambito pharma e life sciences.
Riepiloghiamo gli ultimi trend di un settore in crescita esponenziale, che vede le aziende farmaceutiche impegnate a integrare sempre più le potenzialità offerte dall’IA all’interno delle loro operazioni.
Un mercato in crescita impetuosa
Poche cifre bastano a testimoniare la crescita impetuosa del mercato dell’intelligenza artificiale nell’ultimo quinquennio. Stimato essere pari a 53,5 miliardi di dollari nel 2019 e con una crescita annua attesa dell’11,9% CAGR fino al 2021 (dati GlobalData), una successiva stima si è attestata su un valore di $97 miliardi nel 2023, con un’aspettativa di crescita del 19% annuo CAGR al 2026. Gli ultimi dati, sempre dello stesso analista, indicano un ulteriore picco di crescita annuale per il periodo 2023-2030, fino a oltre il 38% annuo CAG.
Secondo altre analisi, la sola IA per il mercato farmaceutico è attesa crescere del 42,68% CAGR annuo, fino a un valore totale di oltre 18 miliardi di dollari nel 2029.
Numerosi i trend tecnologici emergenti alla base di questo andamento esponenziale, tra cui GlobalData identifica la IA generativa e quella di frontiera, il computing neuromorfico (un tipo di IA che imita molto più da vicino il funzionamento della mente umana, con apprendimento di compiti sempre più complessi in tempi molto più brevi) e le reti neurali quantistiche. I prossimi anni dovrebbero anche vedere una crescita della cosiddetta Explainable AI (XAI) e degli algoritmi di “apprendimento federato”.
Sul piano regolatorio, mentre l’Agenzia europea dei medicinali ha avviato una riflessione sul possibile utilizzo dell’intelligenza artificiale a supporto delle decisioni sui farmaci, è ancora aperto e vivo il dibattito, tra i molti temi, sulle implicazioni etiche di questo approccio, sulle necessarie attività di sorveglianza e sulla protezione dei dati personali e l’accesso ai dati.
Venendo più nello specifico al mondo farmaceutico, sempre GlobalData riporta un netto aumento (58%) delle operazioni societarie inerenti asset IA nel primo trimestre 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023. La partnership tra Isomorphic Labs ed Eli Lilly del 7 gennaio 2024, ad esempio, potrà arrivare fino a un totale di oltre 1,7 miliardi di dollari (con $45 milioni di pagamento upfront), quella tra la stessa Isomorphic Labs e Novartis ammonta a oltre $1,2 miliardi ($37,5 milioni upfront). Nel primo caso, l’accordo con la società specializzata in biologia digitale punta a scoprire nuovi farmaci a base di piccole molecole per diversi bersagli terapeutici, nel secondo l’obiettivo è di individuare nuove molecole contro tre diversi target (non resi noti).
Il trend di crescita dell’uso dell’intelligenza artificiale nel mondo farmaceutico è testimoniato anche dall’aumento del numero di domande di brevetto correlate all’IA (+5% nel Q1 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023; dati GlobalData). Rimane ancora aperto il tema delle competenze, come dimostra il trend in forte crescita (+25% nel Q1 2024 vs Q4 2023) di ricerca di posizioni legate all’utilizzo degli algoritmi IA (soprattutto specialisti in informatica e matematica).
Un’IA per ogni necessità
Da anni si parla dei big data, la grande quantità di dati sanitari provenienti dalle più svariate fonti (cartelle cliniche, prescrizioni, esami, ma anche ad esempio le app dedicate alla salute installate sui cellulari ecc.). L’affermarsi delle tecnologie di intelligenza artificiale rende oggi possibile analizzarli con sempre maggiore facilità rispetto a una pluralità di obiettivi. Un trend che è testimoniato anche dalla centralità di questi temi anche all’interno delle politiche europee, che hanno visto nella creazione dello Spazio europeo dei dati sanitari (EHDS) uno dei passaggi chiave della prima Commissione von der Leyen.
Il potenziale applicativo risultante da questa crescente capacità di utilizzo dei dati sta profondamente mutando anche i modelli di business tipici dell’industria farmaceutica, e più estesamente anche dell’intero mondo life sciences. Non c’è passaggio lungo il ciclo di vita di un prodotto medicinale (o di un dispositivo medico) che non possa beneficiare del potenziale offerto dall’IA.
Focalizzandoci soprattutto sulle attività di R&D, sviluppo farmaceutico e produzione, l’intelligenza artificiale è ormai la regina delle attività di discovery.
Grazie ad essa, infatti, è possibile analizzare in tempi molto brevi l’enorme quantità d’informazioni e dati (sia strutturati che non) contenuti nella letteratura scientifica e negli abstract dei congressi, nei report interni aziendali e in altri database pubblici e privati (compresi i dati sugli studi clinici) con l’obiettivo di identificare nuove molecole che – per forma e caratteristiche chimico-fisiche – siano in grado di interagire in modo ottimale con un certo recettore o processo biochimico target.
Anche le strategie di testing per confermare l’effettiva presenza dell’attività desiderata possono venire ottimizzate grazie alla capacità dell’IA di sviluppare design sperimentali molto complessi e di analizzare le grandi moli di dati che ne derivano.
Dovrebbe diventare così possibile ridurre sia i tempi che i costi delle prime fasi di sviluppo di un nuovo farmaco e massimizzare le possibilità di successo del percorso di R&D: un obiettivo fondamentale per le aziende, se si pensa che le stime dei costi per portare un nuovo medicinale a mercato si attestano attualmente a oltre 2,3 miliardi di dollari, a fronte di un ritorno sugli investimenti in netto calo (10,1 nel 2010 vs 1,9 nel 2019).
Secondo un’analisi di Deloitte, sarebbero cinque i fattori chiave da considerare per integrare con successo l’intelligenza artificiale all’interno dei processi già in essere, a partire dalla possibilità di accedere a dati robusti e affidabili grazie alla creazione di consorzi, collaborazioni e partnership. Andrebbe anche riconosciuto il potenziale dirompente dei giganti tecnologici, da molti anni attivi nello sviluppo dei sistemi più avanzati di intelligenza artificiale.
La sopra citata Isomorphic Labs, ad esempio, è una sussidiaria autonoma di Alphabet (la holding a cui fa capo anche Google) lanciata nel 2021 con l’obiettivo di sfruttare il successo del database AlphaFold. Database che l’azienda ha migliorato in collaborazione con Google DeepMind, fino ad estenderlo (oltre che alle proteine) anche a piccole molecole e acidi nucleici. Isomorphic Labs basa quindi il suo approccio innovativo alle attività di discovery sull’integrazione di questa versione evoluta di AlphaFold con altri modelli di intelligenza artificiale da essa sviluppati, con l’obiettivo di comprendere meglio i meccanismi biologici target e di compiere una progettazione razionale dei nuovi principi attivi.
Gli altri fattori critici identificati da Deloitte includono una maggiore diversificazione delle pipeline di discovery, in particolare per quanto riguarda la capacità dell’IA di mettere a disposizione modelli predittivi migliori per comprendere i meccanismi alla base delle malattie rare, l’attrattività di personale con competenze adeguate a implementare queste tecnologie e la necessità di nuovi key performance indicator e standard da utilizzare per la valutazione delle milestone nelle attività R&D.
Anche la ricerca clinica ne beneficia
Se nella ricerca pre-clinica il ricorso agli strumenti di intelligenza artificiale promette di far diminuire i tempi di discovery da alcuni anni a uno solo o poco più, non meno importante si prospetta l’impatto degli algoritmi sulle attività di ricerca clinica. Le stime indicano, a questo livello, un possibile risparmio fino al 70% dei costi per ogni studio, con una riduzione della durata media fino all’80%.
Praticamente tutti gli aspetti della pianificazione, conduzione e monitoraggio degli studi clinici possono venire assistiti dall’IA, dall’ottimizzazione della composizione delle coorti sperimentali al reclutamento dei pazienti sulla base di un’analisi automatica dell’eleggibilità, dall’automazione del monitoraggio dell’assunzione delle terapie e delle registrazioni giornaliere del diario del paziente fino a interventi proattivi per evitarne la fuoriuscita dagli studi. Gli algoritmi IA, poi, risultano sempre più essenziali anche per l’analisi dei dati degli studi, con selezione di quelli su cui basare la stesura dei rapporti destinati alle autorità regolatorie.
Secondo un rapporto di McKinsey, al centro di questa rivoluzione (e di quelle che in parallelo vanno coinvolgendo anche la gestione delle supply chain farmaceutiche, la messa a punto di materiali di marketing mirati generati in-house ecc.) vi è la cosiddetta IA generativa. L’esempio più noto è il chatbot ChatGPT, ma sono ormai innumerevoli i programmi in grado di creare contenuti (testi, video, immagini, suoni ecc.) sulla base delle domande poste dagli utenti e dei dati a disposizione.
Secondo il rapporto, l’IA generativa potrebbe generare tra i 60 e i 110 miliardi di dollari l’anno di valore economico per il settore farmaceutico e dei prodotti medicali. L’impatto maggiore è atteso a livello dei processi commerciali ($18-30 mld/anno), seguito dalle attività di ricerca e discovery precoce ($15-28 mld/anno) e da quelle di sviluppo clinico ($13-25 mld/anno).
Una volta a regime, il nuovo modello di sanità e sviluppo di nuovi farmaci (e applicazione più mirata di quelli già esistenti) andrebbe a vertere su una sempre maggiore personalizzazione delle scelte terapeutiche sulla base del profilo, anche genetico, del paziente e di una sempre maggiore integrazione digitale tra servizi e prodotti diversi, compresi quelli sanitari, tecnologici e di consumo.
Implementazione progressiva
Non meno importanti potrebbero essere i miglioramenti portati dall’utilizzo sempre più esteso dell’intelligenza artificiale anche in ambito produttivo, dove gli algoritmi possono ad esempio facilitare il controllo del funzionamento degli impianti e, di conseguenza, quello della qualità dei prodotti mediante ispezioni visuali automatizzate e processi analitici altrettanto automatizzati da parte dei laboratori di Controllo Qualità. L’IA permette anche di monitorare meglio con controlli in-process i tassi di conversione a partire dalle materie prime e le rese dei processi.
Altri benefici possono derivare da una migliore gestione degli approvvigionamenti, dalla possibilità di manutenzione predittiva delle apparecchiature e degli impianti e da una migliore sostenibilità ambientale grazie all’ottimizzazione dei processi. A questo riguardo, la stima complessiva indica un possibile risparmio sui costi di produzione fino al 20%. I principali ostacoli individuati a tal fine includono la difficoltà di integrare i sistemi IA con quelli già in essere, un necessario cambiamento culturale e la mancanza di competenze adeguate, oltre a ritorni sull’investimento giudicati ancora incerti.
Un rapporto di PwC, in cui sono stati presi in considerazione più di duecento casi di utilizzo dell’intelligenza artificiale, indica che il contributo in termini di valore indiretto per una società farmaceutica innovativa varia dal 39% per le operations (con effetti sui costi di produzione, materiali e supply chain), al 26% per le attività di R&D e al 24% per quelle commerciali. Secondo gli analisti, un’azienda che industrializzi completamente i casi d’utilizzo dell’IA nella sua organizzazione potrebbe avere il potenziale per raddoppiare i propri margini di profitto.
La stima a livello globale entro il 2030 è di ottenere profitti operativi per ulteriori 254 miliardi di dollari, di cui la maggior parte negli Stati Uniti ($155 mld) e nei paesi emergenti ($52 mld), con l’Europa un po’ più lontana ($33 mld): un obiettivo importante, ma che richiede di essere raggiunto per gradi, ad esempio a partire dall’iniziale implementazione di modelli ibridi o il passaggio attraverso la sperimentazione delle nuove soluzioni all’interno di appositi incubatori.
Da non sottovalutare, infine, anche l’impatto che l’implementazione dei nuovi modelli potrebbe avere sulla forza lavoro, che deve essere sostenuta e guidata nel riconoscimento e accettazione del valore apportato.
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